martedì 24 gennaio 2012

Shame


Shame, ( UK 2011 , 99 ' )

Regia: Steve McQueen
Genere: drammatico
Interpreti: Michael Fassbinder; Carey Mulligan; James Badge Dale; Nicole Beharie

Brandon ( Fassbinder ) è un brillante uomo in carriera che vive a New York ed ha un perfetto appartamento da yuppie del 2000; inoltre Brandon soffre di un disturbo ossessivo-compulsivo che lo fa continuamente pensare ed agire in funzione del sesso. Succede quindi che la sua routine sia scandita da notti bollenti passate fra cosce a pagamento, riviste pornografiche, DVD di dubbio gusto e nel cercare spasmodicamente il coito (molto spesso autoprodotto) nel bagno dello studio durante la pausa caffè.
La vita di Brandon viene improvvisamente turbata con l'arrivo sorella minore Sissy (Mulligan), bisognosa di un posto dove dormire e di una spalla fraterna su cui piangere e che ben presto non tarderà a testare il talamo di Brandon nientemeno che con il suo capo David (Badge Dale).
Finale aperto per una storia di desolazione, solitudine e sofferenza interiore dove non si lascia spazio alla riflessione ed in cui i frenetici ritmi della città non aiutano i protagonisti ad avvicinarsi e parlare. 
Le scene ci sbattono in faccia i più brutali istinti autolesionisti che non hanno tempo e che si consumano in taglienti bagni troppo bianchi, asiatiche alcove, oscuri anfratti rosso porpora dove una fellatio viene eseguita in maniera non ortodossa oppure mentre si fa una tenaglia al bar davanti a tutti con la facilità con cui si si beve un Martini. Triste Liza Minelli dei giorni nostri ( ascoltare e vedere per credere ).
McQueen torna alla sua seconda esperienza lavorativa con Fassbinder dopo "Hunger" del 2008 e conferma la perfetta empatia costruita fra i due dimostrando che la qualità della recitazione va come sempre ben oltre il dialogo e che il vero banco di prova per un attore non sono le battute bensì la mimica facciale. Pienamente meritata la Coppa Volpi di Fassbinder di quest'anno alla Mostra del Cinema di Venezia; d'altro canto il giudizio dell'opera di McQueen non può focalizzarsi soltanto sulle grandi doti dell'attore.
Il collaterale punto di forza della pellicola, in grado di farci introiettare nella mente di Brandon, risiede certamente nella scelta del regista di basare quasi tutte le scene sui primi piani di lunga durata, quasi di una violenza inaudita. 
Plauso al direttore della fotografia, Sean Bobbit ( ! ), il quale ha saputo conferire ad una città caotica e mai quieta come New York una valenza "europea" più adatta agli scenari drammatici, e lo fa grazie ad una completa alienazione dei luoghi in cui si svolgono le vicende di Brandon: non è NYC, Brandon è ovunque. 
L''intento è certamente quello di denunciare una realtà difficile a tutt'oggi ancora taciuta per vergogna o ignorata, tuttavia la sceneggiatura non presta il giusto mordente ad un soggetto che invece avrebbe rabbia da vendere proprio perchè affronta una tematica attuale e nuova, figlia dell'iperstimolazione di internet e dell'era digitale.
Il plot semplicemente non si svolge; non assistiamo a punti di cambiamento focale nella vita di Brandon alla quale lo spettatore assiste senza poter attuare la consueta catarsi che è insita in ogni dramma.
Niente svolte, soltanto un finale aperto che McQueen poteva risparmiarsi.

Stelle (da 1 a 4) = 2 


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